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per un incanto, quelle maschere, leggere in quei cuori, concretizzare quegli slanci, quegli affetti, quelle passioni, prevederne le conseguenze e descriverle, si avrebbe una pagina meravigliosa della storia del cuore umano; ma se ciò fosse possibile, l’incanto della vita morale sarebbe svanito.

Io invito il mio lettore ad un veglione, e non è un veglione della Canobbiana dove l’osservatore sentimentale è trascinato suo malgrado nella folla da un’onda di baccanti, e nauseato dalla mollezza di quelle Frini, dove la spalla tondeggiante della popolana appare di sotto l’abito rotto o ragnato, dove la danza ha qualche cosa di selvaggio, dove l’operaio dissoluto dimentica in quella grande ebbrezza di luce, di moto e di armonia, la piccola famiglia che siede tremante intorno al fornelletto di carbone, mentre la soffitta è investita dal rovaio, e la neve si accumula e si affaccia dalle gronde come un nemico; ma noi siederemo in un palco della Scala, in un palco da cento franchi per notte, tanto vale il mantenimento d’una famiglia numerosa in un mese.

Quivi si suonano i capolavori di Strauss i valzer vertiginosi; si respira una quintessenza patchouly inebbriante e si nuota in un’onda di luce perenne; le maschere vi passano d’innanzi silenziose, hanno in sè qualche cosa di segreto e di attraente, e non potete sfuggire a quel fascino, e reprimere il desiderio di scoprire quel volto e di tentare il mistero che si nasconde in quel cuore.

Paolina è là, e quasi ignora di esservi; come vi venne?