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120 | paolina. |
carcere; il sangue gli veniva bollente dal cuore, e vi rifluiva impetuoso e caldissimo. Quando Paolina poteva recarsi a vederlo teneva lungamente le sue mani morbide e fresche sulle tempia e sulla fronte dell’infermo, ed egli se ne sentiva sollevato. Ma la fanciulla non poteva andarvi così spesso, ogni gita le costava una giornata di lavoro, e ogni giornata di lavoro un’altra di digiuno, e oltre a ciò non erano tollerate le visite molto frequenti. In quegli intervalli di tempo Luigi ricadeva nel suo abbattimento normale: la mancanza di lavoro, non lasciandogli altro di vita che il pensiero insistente di sè stesso, le allucinazioni del carcere, le mille divagazioni della fantasia, da questo delirio dell’immaginazione, per quanto fosse piacevole, proveniva la febbre, e dalla febbre altri sogni, altre visioni che rendevano continuo quello stato di malattia e acceleravano la consunzione. Sapeva che in quel mattino sarebbe venuta sua sorella a vederlo, e questa certezza alleviava il suo tormento. Perchè non verrà con essa Paolina? aveva detto a sè stesso, e questo pensiero ne aveva suscitati mille altri, ciascuno era richiamo ad un pensiero diverso, e quando si riebbe da questo vaneggiamento, vide che la fanciulla gli stava seduta vicino, curvata sopra di lui, e stringeva colle mani diafane ed affilate le sue.
— Nevica.... disse Luigi astrattamente.
— Sì, rispose la fanciulla quasi mortificata dall’indifferenza del giovine, nevica da questa notte, e le vie ne sono tutte coperte.
— Devono esser ora assai belli i prati fuori di Porta Orientale con questa neve; vi ricordate quando vi andavamo a pigliare le cornacchie col vischio?