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rondine, e coll’animo commosso e turbato dolcemente dalla felicità e dall’amore, il marchese si lasciò cadere sopra una sedia, smascellandosi dalle risa e applaudendosi del suo trionfo che giudicava sicuro.

Il domani fu un giorno assai mesto nella natura; il cielo era cupo e pesante, la neve cadeva a fiocchi larghissimi, come quegli sciami di falene che aleggiano nelle notti d’estate intorno ai fanali. Luigi, per sottrarsi all’umidità ed al freddo intensissimo della prigione, giaceva ancora sul suo letticciuolo di foglie, avvolto in una carpita di pelo, e contemplava tra le sbarre della piccola finestra di fronte, le gronde delle case incorniciate di bianco e qualche passero che passava cinguettando senza fermarsi.

La poca luce che veniva da quella via lasciava distinguere a stento il suo volto; i suoi capelli discendevano ondeggiando fino alle spalle; la barba nera, lunga, ricciuta, spartita sulla fossetta del mento contornava un viso bianco e pallidissimo, dimagrito, in cui nulla vi aveva di vivo, tranne l’occhio nero, lucido, eloquente, colla pupilla umida e dilatata, come avviene nel periodo della febbre. E questa infermità gli s’era fatta natura, dacchè traeva quella sua giovine vita nel