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paolina. | 107 |
pensile tra le doppie invetriate e le cortine azzurre della finestra, una grande stufa russa produceva una temperatura molto elevata. Madama Gioconda vi aveva avvicinata la sua sedia d’onore, e il brio, il riso, la vivacità, la maldicenza, i colloquî animati, la facile spensieratezza, le buone e le cattive passioni regnavano come sempre in quel luogo, sviluppate, alternate, confuse col pensiero del lavoro e del bisogno, e talora anche con più affliggenti pensieri, ma per modo da risultarne quella forzata noncuranza dei nostri mali, quel rimedio fatale che li assopisce nella gioventù, per farli risorgere più tardi rigogliosi e inguaribili.
Non erano scorsi due giorni dacchè Paolina aveva ripreso colà i suoi lavori, che madama Gioconda, chiamatala in disparte nella sua camera, le aveva tenuto questo discorso:
— Mia cara figliuola, non vogliate prendere sotto un aspetto falso e sfavorevole quanto sono per dirvi. Il marchese di B..., ma io vi veggo trasalire a questo nome — avete ragione Paolina; vi fu un tempo in cui egli ed io vi abbiamo offesa gravemente, ma io lo faceva pel desiderio della vostra felicità; credetelo, ho sempre avuto per voi una predilezione segreta, e la vostra felicità mi pesava sul cuore quanto la mia.
— Io vi ringrazio, aveva interrotto Paolina con accento umile e sincero.
— No, no, mia buona ragazza, voi non avete a ringraziarmi di nulla, perchè non v’avrei forse fatto che del male; ma le cose sono adesso molto mutate: ascoltatemi. Il marchese