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raggio, aveva risposto la fanciulla, e perchè il buon Dio non vorrà certamente abbandonarci.

— Grazie della vostra fede, disse Paolina, io non ne aveva dubitato, ma conviene pensare prontamente ad un rimedio; ed avrei quasi deciso di tornarmene dalla signora Gioconda; voi sapete che me ne ha rinnovata l’istanza.

— È vero, andate, aveva risposto Marianna; il pensiero che io vi possa essere di peso mi darà molta forza, e andrò cercando io pure del lavoro; noi ci vedremo soltanto alla sera, e in quei momenti potremo ancora esser felici; ma ohimè! quanto saranno lunghe le ore della nostra separazione!

E Paolina risalì un giorno tremando quelle scale che mettevano al laboratorio di madama Gioconda. Quante rimembranze in quel luogo! Giunta sul pianerottolo si posò una mano sul cuore, e si arrestò qualche istante per ricomporsi. Ma premeva alla signora il farle un’accoglienza cordiale assai più che Paolina nol desiderasse, e la fanciulla si sentì riconfortata, quando essa stringendola nelle sue braccia le disse:

— Io vi devo ringraziare Paolina perché voi mi avete procurato un momento felice.

Del resto nulla era mutato nelle sue abitudini; essa era sempre quella donna sozza e pericolosa che s’interponeva per danaro e per l’abitudine dell’intrigo negli affetti delle sue allieve, e che speculava sopra i vezzi della gioventù e dell’innocenza, come sopra una stoffa nuova od un costume di moda. L’inverno teneva radunato le ragazze in una sala meno ampia: il pappagallo parlante occupava una gabbia