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La cameriera se ne andò, lietissima di quella concessione. Il medico si accomiatò dal colonnello, dicendogli:

— Riverrò domattina per tempo, occorre anzi tutto che non la si disturbi, son certo che passerà una notte quieta. Non si dimentichi di prendere la valeriana. Buona sera!

— Buona sera!

E l’udii aprir l’uscio ed uscire.

Vi fu un breve momento di silenzio.

— Buona notte, — le disse per ultimo suo cugino — me ne vado perché tu possa dormire. Appena alzato verrò a vederti, e se non ti sentissi bene fammi chiamare, non avere riguardi, diavolo!...

— Sta certo, addio.

— Addio.

Ed uscì egli pure.

Il medico risalì l’altro braccio della scala, e rientrò nella stanza.

— Siamo a tempo, — diss’egli — attendiamo però qualche minuto per maggior sicurezza. Intanto...

Prese uno scalpello di cui si serviva per le sezioni anatomiche, e svitò con destrezza le viti della serratura. L’uscio fu subito aperto.

— Ecco i miei amici — diss’egli mostrandomi i teschi che erano sul caminetto e facendovi passare dinanzi la fiamma della candela. — Essi vi faranno compagnia, intanto che io resterò fuori a giuocare la mia partita di tarocchi; non vi daranno disturbo, sono gente quieta. Aspettate qualche momento ad entrare; e abbiate giudizio, — aggiunse mezzo tra il serio e il faceto — io sarò di ritorno fra un paio d’ore.

Rimasi solo, in preda ad una tristezza inesprimibile.

Mi pareva che la fortuna si prendesse giuoco di me (e dico la fortuna, poiché mi ha ripugnato sempre il