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core. E prorompendo in lacrime fuggì nella sua camera.

Suo cugino fu assai sorpreso di questo incidente.

— Che hai? Che accadde?

— Nulla, un’emicrania improvvisa, insoffribile: sto male, non uscirò più, sono disperata. Vorrei morire, morire!

— Morire! Sei pazza! esclamò il colonnello.

E avvicinandosi a me che ero rimasto immoto sull’uscio, mi disse:

— Abbiate pazienza, mio caro, voi vedete che mia cugina sta male; non ho cuore a lasciarla sola; andremo un altro giorno a visitare quel castello.


XIX.

Quella situazione non poteva durare. Al domani, mentre ci trovavamo a tavola, dissi a suo cugino:

— Ho ricevuto lettere da Milano che rendono indispensabile una mia gita in quella città; vi sarei obbligato se poteste concedermi una licenza di tre giorni.

— Accordato, rispose il colonnello. Se me ne aveste fatto domanda in ufficio, vi avrei forse risposto di no, ma a tavola! Come fare! Voi conoscete il mio debole e ne approfittate. Fate conto di partire domani? E con qual convoglio?

— Con quello delle quattro.

— Bisognerà far anticipare il vostro pranzo.

— Non occorre, pranzerò alla locanda.

— Che diavolo! esclamò il colonnello. Perchè alla locanda? Non ne vedo la necessità.

E diede ordine che si apparecchiasse alle tre per me solo.