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fosca 69

Da principio mi era sembrato tollerasse quella mia apatia con animo indifferente, in seguito mi avvidi che incominciava ad immalinconire, e ne soffriva.

Una sera in cui eravamo seduti dappresso — fosse caso, fosse disegno — accostò tanto il suo braccio al mio da toccarlo e da premerlo; io mi ritrassi un poco: bastò quest’atto a cagionarle una crisi nervosa delle più violente.

Che poteva io fare? Sentiva pietà di lei, vedeva il suo cuore e ne soffriva; ma l’egoismo del mio amore, la mia felicità, la natura stessa facevano tacere in me quel sentimento. Io era divenuto più fermo che mai nel disegno di respingere quell’affezione.

Una sera il colonnello mi aveva detto:

— Domani usciremo in carrozza assieme, vi farò vedere una pariglia che non avete ancora veduto, andremo al castello.

— Volontieri.

All’indomani rimasi penosamente sorpreso nel veder Fosca apparecchiata ad accompagnarci. Eravamo soltanto noi tre, e aspettavamo che ci si annunciasse che la vettura era pronta. Indugiando i domestici in ciò, il colonnello salì sulle furie, e discese egli stesso nel cortile. Rimanemmo soli, in piedi, l’uno di fronte all’altra. Nessuno di noi osava rompere quel silenzio angoscioso.

Ad un tratto, Fosca afferrò con atto disperato le mie mani che io teneva riunite sul petto, e vi nascose il volto esclamando con voce supplichevole:

— Oh Giorgio, oh Giorgio!

Finsi di essere sorpreso, di non comprendere.

— Che avete? le chiesi io con freddezza, vi sentite forse male? Che è avvenuto?

— Ah! gridò ella respingendo le mie mani con violenza e guardandomi con espressione di affettuoso ran-