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XVIII.


V’era però un mezzo ben certo di rendere impossibile ogni altro legame e di distruggere quello che avevamo già contratto — evitare di trovarmi solo con lei.

Fuggirla era follìa; l’avessi pur potuto, non l’avrei dovuto; tale estremo era inopportuno, nè ella il meritava, nè suo cugino ci sarebbe passato sopra senza volerne sapere le cause.

Ella avrebbe potuto leggere nell’anima mia il pentimento che io sentiva di quel primo abbandono e la risoluzione decisa di dimenticarlo; il mio contegno doveva essere sufficiente a ciò, nè il suo orgoglio le avrebbe permesso di chiedermene una spiegazione.

Riuscii per alcuni giorni ad evitare di trovarci soli — cosa che non ebbe a costarmi poca fatica, perchè ella, dal canto suo, poneva in opera ogni strattagemma possibile per ottenere uno scopo contrario. Aveva ella indovinato le mie intenzioni? Non lo lasciava apparire. Forse ad arte, giacché in tal caso il suo amor proprio le avrebbe dovuto imporre la stessa severità di contegnoa mio riguardo.

Non era più stata malata, nè aveva lasciato passare una sola occasione per vedermi. All’indomani di quella passeggiata, ciascun commensale aveva trovato un fiore sul suo coperto; inutile dire che il mio era il più bello.

Tutte le cure, tutte le preferenze possibili erano per me.

Ella sapeva porre tant’arte in dissimulare questa predilezione, che nessuno se n’era avveduto, ma era tal cosa che a me non poteva sfuggire. Ne era commosso, ma me ne doleva amaramente.