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— Altro è immaginare, illudersi; altro è aver coscienza e sentimento di un bene reale. Vi fu un tempo in cui avrei accettato qualunque miseria, qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognar sempre, di non vivere che di questa vita di illusioni. Allora non era ancora malata. I miei stessi mali mi hanno ora esaudita; la mia infermità mi procura ogni notte sonni convulsivi, periodi di assopimento febbrile, nei quali ripassano innanzi a me tutte le scene, tutte le visioni, tutte le complicazioni possibili di questo mondo sterminato dei sogni. Ebbene, lo credereste? Non ne ho più alcuna gioia, spesso anzi mi disgustano, mi tediano. Noi viviamo in un mondo reale, dobbiamo afferrare il reale, il concreto.

— Esso è sempre inferiore all’ideale.

— Non importa. Chi non preferirebbe all’immagine di un bene smisurato, il possesso di un bene anche minimo?

— Tutto ciò è relativo; — io dissi — gli aspetti e le sorgenti della felicità sono molteplici, chi si reputa avventurato in una maniera, chi in un’altra; la maggior parte degli uomini lo sono in modi opposti o diversissimi. Non vi è che un mezzo comune, facile, sicuro di essere felici.

— Quale?

— Amare.

Essa tacque, e sentii il suo braccio pesare con maggior abbandono sul mio.

— Amare! — ripeté ella dopo qualche istante. — Che cosa avete inteso di dire? Spiegatevi.

— Credeva di essermi giovato di una parola assai semplice — dissi io. — Se non ne comprendete il valore, le mie spiegazioni non avrebbero alcun frutto.

Ella sorrise a fior di labbra, e riprese:

— Intendete di escludere le piccole simpatie, le ami-