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Era troppo tardi per recarci a visitare il castello; entrammo nel giardino.

Non aveva veduto mai prima di quel giorno un luogo così incantevole, così pieno di maestosa orribilità. In quelle mie prime escursioni non ne aveva visitate che alcune parti. Non v’erano nè aiuole, nè fiori, ma spalliere gigantesche di carpini, viali ampii e lunghissimi fiancheggiati da ippocastani secolari, e gruppi di olmi cadenti per vecchiezza l’uno sull’altro. Nel mezzo vi era un lago estesissimo, la cui acqua corrotta dal ristagno e dalle foglie che vi s’erano infracidite, non aveva più alcuna trasparenza; a quando a quando il vento vi faceva cadere dagli alberi i rami secchi, schiantati dal turbine, e appena ne sollevavano le onde, tanto erano dense ed immobili. Piccoli serpentelli d’acqua scivolavano in mezzo alle foglie delle ninfee. Dappertutto statue mutilate, annerite dalle pioggie, coperte di musco e di acetose; cippi e basi di colonne sepolte in mezzo alle ellere; avanzi di aquedotti, tra le cui screpolature crescevano ranuncoli e capelveneri. Da un lato v’erano pure le rovine d’un tempio pagano, sulla cui sommità aveva posto radice un ulivo; grosse lucertole uscivano e entravano dalle fessure delle pareti smattonate. L’umidità e l’ombra vi erano sì costanti che in pieno agosto vi fiorivano le viole; ed erano tante che il suolo pareva coperto di un tappeto azzurro, se non che non avevano profumo. Non si sentiva che il canto d’una sola specie di uccelli (non vi intesi mai altro uccello a cantare, nè ne vidi d’altra sorta in tutte le volte che mi recai a passeggiarvi), ed erano certi scriccioli non più grandi d’una farfalla. Il loro canto era un fischio lamentevole e pieno di malinconia. Gli uccelli più piccoli dì quel paese ne abitavano gli alberi più grandi.

In quel momento il sole era presso a tramontare, e