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fosca 57


— Sì.

— Eppure...

S’interruppe, e tacque.

Continuammo a camminare in silenzio. Io era tutto immerso nell’egoismo del mio amore. Pensava a Clara, non poteva distaccarne il mio pensiero. L’aver una donna al mio fianco, una donna vestita con eleganza, che posava il suo braccio sul mio — un braccio fino, esile, leggiero — che mi toccava collo strascico del suo abito; e camminare con essa in un luogo solitario, sotto gli alberi, era cosa che accresceva del doppio la mia illusione. Non solo io non poteva arrestare il mio pensiero su Fosca, ma la mia mente si valeva di lei come di una guida in quella ricerca smaniosa delle sue memorie. Che quella donna fosse poi brutta, orribilmente brutta, non ci pensava. Sapeva tanto illudermi da dimenticarlo.

Una cosa sopratutto contribuiva a tenermi saldo nella mia illusione, una specie di profumo delicato, molle, voluttuoso che emanava dalla sua persona, e che aveva spesso sentito vicino a Clara. Gli abiti di seta riscaldati dal sole esalano questa fragranza elettrizzante. Coloro che hanno passeggiato in giorni estivi con un’amante lo sanno; essi non passeranno mai dappresso ad una donna vestita di seta senza sentire quel profumo e senza ricordarsi di quei giorni.

Oltre a ciò le donne hanno un profumo a sè — non so come la scienza non abbia avvertito questo fenomeno che non sfugge all’amore — tutto ciò che esse toccano è profumato, tutti i luoghi per cui passano ritengono qualche poco della loro fraganza. Non ho mai potuto ricordarmi bene di mia madre, che perdetti fanciullo, se non baciando un fazzoletto che mi è rimasto di lei, e che ritiene ancora, dopo tanti anni, le reliquie del suo profumo di santa.