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ogni libro che fa pensare, nuoce. L’obbiettivo d’ogni lavoro letterario dovrebbe essere la fantasia — non la testa che si guasta, non il cuore che sanguina — ma l’immaginazione che si esalta e gioisce. Non avete mai provato l’ebbrezza dell’immaginazione?

— Qualche volta. Ma credete che i suoi piaceri sieno innocenti?

— O non vi è innocenza, o lo sono. Credo che possiamo non commettere una colpa, ma non possiamo non immaginarla. Non vi è azione senza idea di azione; bisognerebbe escludere il merito di fare o non fare. I traviamenti dell’immaginazione sono naturali, spontanei, direi quasi obbligatorii; son essi che costituiscono il valore morale delle nostre azioni.

— Queste teorie hanno tanto di specioso quanto hanno poco di vero, io dissi; ma, se non sono in errore, vostro cugino vi ha accusata con me di far un abuso della lettura.

— Sorvolo sui libri, rispose ella mestamente, come sarei sorvolata sulla vita, se la vita fosse stata per me. Ho letto una volta di un fiore, la sommità del cui calice è sparsa di un polline dolce e salutare, e il fondo di un polline amaro e velenoso; le farfalle che vi si fermano troppo, vi muoiono; così è di tutte le cose; così è della vita. Non leggo nè per imparare, nè per pensare — abborro i libri di morale e di metafisica — leggo per dimenticare, per conoscere quali sono le gioie che il mondo dispensa ai felici e per goderne quasi di un eco. È tutto ciò che io posso fruire dell’esistenza; fuggire dalla realtà, dimenticare molto, sognare molto. Voi comprendete, aggiunse ella con aria di mesta ironia, il bisogno che io ho di attenermi a questo sistema, non avete che a guardarmi.

— E perchè? risposi io confuso e commosso da quelle