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— È il posto della signora Fosca — mi disse uno dei commensali.

— Di mia cugina; — aggiunse il colonnello — essa tiene il letto sette giorni della settimana, e anche oggi non sta meglio del solito. Mi dispiace che non l’abbiate veduta, è della voracità di una mosca.

Allorché ci fummo alzati da tavola, egli mi si piantò dinanzi colle gambe sparate, e colle mani incrociate dietro la schiena, e mi chiese:

— E così, come avete pranzato?

— Ottimamente.

— Davvero?

— Diamine, a meraviglia!

— E che ve ne pare di questo locale?

— Magnifico.

— Di questa nostra società?

— Ne sono lusingato — diss’io.

— Francamente, senza complimenti, da amici — riprese egli drizzandosi e riunendo le sue gambe colla vivacità dello scatto di una molla; e levandosi la mano destra di dietro la schiena, e porgendomela, aggiunse:

— Se volete far parte della nostra mensa, se volete aggregarvi a noi… non avete a temere per la vostra borsa, la base fondamentale della nostra associazione è l’economia. Già… È un sentimento di carità che mi consiglia a farvi questa proposta… E anche di simpatia — continuò porgendomi l’altra mano. — Pensateci bene, noi vi parliamo per esperienza… in questo paese di Pellirosse…

Era un’offerta che non poteva in alcun modo declinare.

Accettai benché a malincuore.