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fosca | 41 |
Il colonnello sembrò un poco meravigliato di quel mio dubbio; guardò il suo orologio, e riprese:
— Non mancano che pochi minuti alle cinque. Vi invito a pranzare con me, in mia casa, accettate?
— Accetto, risposi io inchinandomi.
Dopo qualche istante uscimmo.
— Noi facciamo una piccola mensa in famiglia, continuò egli lungo la via. Propriamente parlando, non posso dire di aver famiglia, ma ho meco una mia parente che ne tiene le veci, benchè la poveretta sia di salute così cagionevole da darmi più pensieri che non me ne tolga. È una mensa abbastanza modesta. Qui non vi sono che pessimi elementi di cucina, la verdura sopratutto è demoralizzata; ma almeno vi si mangia, vedrete… Già, alla mia età, il bisogno di un pranzo discreto è inesorabile. Avrete della compagnia; vi vengono due maggiori, un colonnello, un dottore di reggimento, due medici borghesi; siamo in otto in tutto. I medici poi — egli riprese — affluiscono a casa mia come in un ospitale. Mia cugina è la malattia personificata, l’isterismo fatto donna, un miracolo vivente del sistema nervoso, come si espresse ultimamente un dottore che l’ha visitata. Ve la farò conoscere. Avrei potuto mandarla poco lungi di qui, presso una famiglia che ne avrebbe avuto gran cura, giacchè ella è rimasta sola al mondo, ma non so separarmene; a sessant’anni si vive di abitudini; e poi quest’aria morta le giova, e anche questo paese di Pellirosse non le dispiace.
Giungemmo in breve alla sua abitazione.
Il pranzo fu allegro, eccellente, condito di molta maldicenza, di frizzi, e di quelle frasi equivoche e poco castigate che s’ascoltano per solito tra militari.
Vicino a me era un coperto intatto, e ne feci l’osservazione.