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nella nostra coscienza questo sentimento, per accrescerne il valore; ho capito come si possa scendere fino alla degradazione la più umiliante. È lo stesso sentimento che a voi, donne, fa spesso sacrificare — quasi volonterose, quasi superbe del sacrificio — la fama di oneste all’affetto dell’uomo che amate. E credi, o Clara, credi che è questa sola — sia pur ella deplorabile — la misura dell’amore che unisce l’uomo alla donna.

«Non nascondermi dunque le tue lacrime, e non volere che io ti nasconda le mie. Le tue lacrime! Ah, io le sento, sì le sento, esse ripiombano qui sul mio cuore; chi sa quante tu ne hai versate oggi, ora, in questo istante. Povera anima!

«Ti scrivo quattro ore dopo esser giunto in questa città; non avrei potuto farlo prima. Dio lo sa come sono partito, come sono arrivato qui, come mi trovo in questa stanza di albergo. Mi sono gettato sul letto, e ho dormito quattro ore di un sonno pesante e affannoso. Ora mi sono alzato, mi sono affacciato alla finestra, ho guardato i tuoi ritratti, le tue lettere, tutto ciò che ho portato meco di te, e ho cominciato a comprendere qualche cosa della mia nuova posizione. Dio mio! Dio mio! Io non so come potrò sopravvivere a questa prova!

«Eravamo troppo felici, o Clara, non era possibile che quello stato durasse; la nostra felicità stessa ci spaventava, sentivamo qualche cosa nel cuore che ci diceva che essa doveva finire.

«Non ti atterrire di questa parola «finire», no, la nostra felicità non è finita, tu lo sai, tu senti al pari di me che un amore come il nostro non può finire che colla morte, ma saremo felici in altro modo, con altra misura, con altro prezzo. Non ti vedrò più tutti i giorni, non saprò più cosa tu fai a tutte le ore, non riceverò più i tuoi fiori, non vedrò più il tuo balcone, non sentirò