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328 amore nell'arte

che ci arresta dinanzi a un cadavere? Che è egli questo rispetto ipocrita e vano che ci trae silenziosi, e dimessi dinanzi a un mucchio di polvere che si dissolve? Oh! la sfacciata impudenza che curva le ginocchia degli uomini all’aspetto delle reliquie di un essere, di cui si è talora manomessa la felicità, e avvelenata a mille riprese la vita!

Ma non è tale la posizione di Bouvard: egli solo ha sofferto, egli è la vittima; egli vorrebbe elevarsi a giudice sopra di lei, ma un interno convincimento gli dice che non gli anni misurano l’esistenza, ma la felicita, la sola, la irrevocabile felicità ch’egli ha perduto: — quella fanciulla è morta, ma fu felice; egli vive, ma soffre, — egli non le sopravvisse che per rimembrarlo.

L’anima del giovine si agita crudelmente a questo pensiero, che lo ripiomba ne’ suoi propositi di vendetta: — quel cadavere sembra ora stargli dinanzi minaccioso..., forse egli vede, egli sente, egli sorride, egli si agita sotto il suo lenzuolo funerario... Bouvard si rialza impetuoso, e strappa il velo che copre il viso della fanciulla. — Dio! quale bellezza irresistibile! — E può il volto d’una defunta essere ancora così bello? Un’espressione di calma celeste si diffonde sulle sue sembianze, le guance sono tuttora leggermente rosate; la fronte candida e pura, le labbra e gli occhi socchiusi, l’epidermide trasparente e bianchissima: — non vi ha nulla di spaventevole in lei, nulla che possa essere più vago, più dolce, più allettante nella vita..., essa riposa, — essa dorme — come dormono i fanciulli a sette anni, quando non si sognano che delle nubi, delle farfalle e degli angeli..., tutte cose che volano, volano, e vanno verso il cielo.

Vi sono due soli e grandi avvenimenti nell’esistenza che possano dare ai nostri volti un raggio di quella bellezza celeste che sfugge a qualunque manifestazione,