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amore nell'arte 319

dito con frenetici entusiasmi... ma, oh Dio! era essa ancora quella Giulia che egli aveva veduto la prima volta dalla riva del mare nell’ora melanconica del tramonto?... quella fanciulla sì bella, sì dolce, sì compassionevole, quell’essere gentile e pensieroso che gli era apparso come una visione di cielo nelle ore tremende del suo sconforto? Colei, quell’angelo, quella fanciulla adorata, non era più che una donna comune, lieta, incurevole, folleggiante, sorridente a tutti quegli esseri fatui e leggiadri che se ne contendevano l’affetto; — una creatura della società e del piacere, ricca di gioventù e di bellezza, baldanzosa perchè felice, e felice perchè troppo insensibile, troppo esente da quella infermità di mente e di cuore, che ci rende pietosi a tutti i mali della società, ovunque sieno sentiti, e ci costringe a dividerli.

Forse Bouvard non si era ingannato credendo che la fanciulla lo avesse riconosciuto, e avesse riso del suo affetto e della sua deformità. Il contegno di Giulia sentiva troppo della derisione e della noncuranza, perchè egli potesse almeno lusingarsi di non aver tradito il suo segreto..., quel segreto sì dolce, sì caro, sì lungamente vagheggiato, e la cui rivelazione lo opprimeva ora di rossore e di avvilimento. E infatti, quel giovane che aveva inseguito come un insensato la sua carrozza, che le aveva prostituita la sua dignità e il suo orgoglio, che aveva preteso in sì strana guisa e con sì strana insistenza al suo cuore, era lì muto, umiliato, tacitamente deriso... E che era egli per Giulia?... lui..., quell’artista quasi ignorato, perchè sdegnoso di ammirazione, quel povero fanciullo della Savoja, quel giovane timido, sofferente, deforme?

Bouvard comprese troppo tardi come un accecamento fatale lo avesse lusingato di un affetto che la sua deformità gli rendeva impossibile d’inspirare. La sua defor-