Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
316 | amore nell'arte |
sulle rive, componevano il fondo di quel quadro maraviglioso, che passò e sparve dinanzi agli occhi del giovane, come una creazione istantanea della sua fantasia, come la celeste visione di un sogno. — Quella donna non aveva veduto Bouvard, ma lo aveva guardato, — lo aveva lungamente guardato; — i suoi occhi fissi ed immobili parevano versare in lui quei sentimenti che forse nasceano dal pensiero di un essere lontano ed amato, — parevano dirigergli quelle aspirazioni che erano tutte pel cielo, e che la fanciulla avrebbe indarno tentato di rivelare alla terra.
Bouvard sapeva di non poter essere amato, ma troppo grande era ancora in lui la fede del sacrificio nella donna, perchè non credesse di poterlo essere per compassione. Una seduzione credeva egli esistere in lui, quella dalla sventura, ed egli vi attribuiva l’onnipotenza della bellezza. No, egli non è vero che l’amore inspirato dalla compassione possa generare l’avvilimento in chi lo riceve: ella è la più orgogliosa, la più nobile e la più durevole delle passioni, forse l’unica che il cielo benedice, e che non spegne che colla vita, perchè soltanto colla vita si spegne la sventura che l’ha generata.
Bouvard attribuì a sè quello sguardo. « Ella mi ama, egli disse, ella ha indovinato che io soffro. E potrebbe egli, quel viso di angelo, mentire un sentimento che non fosse di pietà e di tenerezza? Potrebbe ella amare un felice?... la felicità petulante, scherzevole, menzognera!...» E poi egli aveva veduto altre volte quella donna, l’aveva veduta ne’ suoi sogni, ogni notte, da diciassette anni: — era il genio fantastico della sua arte, la creazione severa della sua musica, l’ente concretizzato, vivo, sensibile, palpitante, che egli si era composto nell’estasi delle sue melodie e delle sue meditazioni.
E invero ciascuno di noi si crea fino dai primi anni