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amore nell'arte 313

terribile condanna che associa al bello morale il brutto sensibile, e lo destina a rivelarlo!

Dopo quella notte Bouvard si ammalò, risanò a stento, partì improvvisamente da Ginevra e venne pellegrinando in Italia.


Vi passò tre anni: fu a Venezia, a Roma, a Firenze, e finalmente sostò a Napoli, dove, ricco di fama e di danaro, aveva determinato compiere la sua carriera di artista nel mistero e nell’isolamento.

La più grande disillusione e la più inattesa lo aveva colpito in quegli ultimi anni del suo trionfo: — egli si era sdegnato della sua arte. A che crearsi con essa un mondo ideale e fantastico che la società gli contendeva di raggiungere? a che accarezzare i suoi inganni, palliare la sua sventura, eccitare la sua sensibilità, se gli era nota la vanità di questi rimedii, e se l’orgoglio suo gl’imponeva con insistenza di rifuggirne? A che profondere quei tesori di armonie, quelle esuberanze dell’arte, ad una folla spensierata che lo copriva di oro, che lo acclamava artista divino, ma a cui avrebbe chiesto indarno un solo di quegli affetti che egli aveva eccitato con tanta potenza nei loro cuori? Essi avevano ammirato in lui l’artista, non l’uomo, — il genio, non il delicato sentire che l’accompagna, non l’ineffabile martirio che lo sconta. — Il giovine si sentì prostrato, si sentì invaso da uno scoraggiamento che indarno avrebbe tentato di superare: — vivere per sè stesso e a sè stesso; — obliare, — odiare anche — fors’anche odiare; giacchè l’odio può ben contendere la sua voluttà a quella dell’amore: — ecco l’estrema risoluzione di Bouvard, ecco il conforto disperato che si riprometteva da questo disegno.

Si ritrasse allora in una villa remota presso Posilippo