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312 amore nell'arte

più grande di quanto lo appaia, di quanto forse lo creda egli stesso. E che è ciò che noi chiamiamo genio, se non la facoltà di concepire e di estrinsecare, con quanta maggior verità è possibile, questa vita profondamente intima e spirituale dell’uomo?

Bouvard guarda le stelle, il cielo, la superficie immobile del lago, i salici che si curvano sulle rive, i pesci che guizzano inseguendosi, gli acari fosforescenti che scintillano nelle onde commosse dai remi; e da questo spettacolo svariato attinge delle idee che egli sente, che egli comprende, ma che non saprebbe pure manifestare a sè stesso. È il linguaggio arcano che vi ha tra noi e la natura, e che Iddio non ha concesso all’uomo di esprimere.

Ma gli occhi del giovine si rivolgono con insistenza a quei lumi lontani che appaiono sulle rive come tante scolte immobili nella notte, a quelle ville disseminate lungo la spiaggia, a quelle finestre socchiuse e illuminate che nascondono mille misteri di felicità e di amore. Sotto ciascuno di quei tetti vi ha una famiglia, vi hanno dei cuori che si amano, che sperano, che gioiscono, la cui esistenza non è tutta tessuta di dolore... Oh! sentirsi nati ad amare, possedere un cuore capace di amare un universo, e cercare indarno in questo deserto della vita qualche cosa che risponda a questo appello incessante dell’anima! — sempre indarno! — eternamente indarno! Bellezza, crudele bellezza! — perchè fu concesso a te sola l’impero assoluto dell’amore? perchè sei tu l’unica rivelazione, l’unica forma sensibile di questo sentimento? — Perchè, esclama Bouvard, — perchè rinchiudere la mia anima in questa creazione abortita dalla natura? Perchè darmi questo profilo di Etiope, questo naso da Ottentotto e questa bocca di Lappone? Poteva la deformità rivestirmi di spoglie più ributtanti? Oh la