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amore nell'arte | 311 |
portò seco per tutta la vita, come l’unica reliquia sopravvissuta al naufragio della sua felicità e della sua giovinezza.
Fu su quella tomba che egli compose le più belle melodie che mai il genio della musica avesse saputo inspirare, come un tributo alla santa memoria dovuta di quell’uomo che gli aveva appresi i primi erudimenti dell’arte, svelati i misteri più sublimi dell’armonia.
Ma come nessun uomo è capace di rimanere lungamente infelice, Bouvard pensò che il soggiorno d’una grande città lo avrebbe distolto dalle sue meditazioni sconfortanti, e quasi stordito e calmato nel suo dolore. La fama della Nuova Eloisa, — il più bel libro d’amore che mai sia stato scritto, — era ancora diffusa e fiorente tra la gioventù appassionata di quei tempi; egli aveva divorato quelle pagine con una specie di febbre e di delirio; la vita del grande socialista si approssimava allora al suo tramonto, splendido e maestoso come uno di quegli astri che si circondano di maggior luce prima d’involarsi alla vista degli uomini. — Bouvard volle baciare quelle zolle che avevano data la vita a Gian Giacomo, e venne a Ginevra.
Ecco come noi lo rivediamo in quella città, nel silenzio di una notte stellata, solo, abbandonato sopra una barca in mezzo alle onde tranquille del Lemano. Che fa? Che medita il giovane in quell’istante?
Vi sono dei periodi di effervescenza nello sviluppo dello spirito umano, in cui l’anima si sublima e si eleva ad una grandezza smisurata non concepibile che a sè sola. Che è la parola perchè si attenti a manifestare quegli slanci? Non sono che le piccole passioni, le sensazioni inerenti alla materia quelle che la parola può esprimere: ma ciascun uomo ha in sè qualche cosa che non rivela, che non può rivelare; ciascun uomo è