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una cosa nel petto, qui;» e gridava, e si turava la bocca colle mani.

Mi portava delle farfalle, e mi mandava a regalare delle nidiate d’uccelli che era obbligato ad allevare per non dispiacerle. Nell’ultimo inverno che ci conobbimo, mi portò ella stessa un gattino bianco nel manicotto.

Tutto ciò mi pareva allora assai puerile; pure ho pensato soventi a queste cose, anche in anni nei quali aveva già conosciuto più positivamente e più spaventosamente la vita, e ho dovuto sempre esclamare: «Felici coloro che amarono a questo modo!»


VII.

In quell’abisso di felicità, in quell’ebbrezza che s’era impossessata delle nostre anime, io mi era quasi dimenticato di me stesso. Non erano che due mesi che ci amavamo, allorchè ricevetti dal comandante del mio reggimento un ordine così concepito:

«Siete stato richiamato in attività, e per un riguardo allo stato cagionevole della vostra salute, applicato allo stato maggiore del quarto dipartimento. È necessario che raggiungiate fra dieci giorni la vostra destinazione».

Rimasi come colpito dalla folgore.


VIII.

Rinuncio a descrivere lo strazio della nostra separazione. Il nostro dolore fu grande quanto lo erano state le nostre gioie; vero, profondo, ineffabile come lo era