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amore nell'arte 309

perchè avendogli egli detto che era del paese di Montelimart, pensò che le acque ne avrebbero col tempo restituito il cadavere alla patria.

Fu un nuovo avvenire quello che si aperse allora al suo sguardo ; quantunque modesto, Bouvard aveva la coscienza del suo genio, egli sentiva di essere artista, sentiva di poter dare saggio di sè in ben altri luoghi che non fossero quei poveri villaggi della Savoja. La speranza di rinvenire suo padre bagattelliere girovago nella Francia, lo trasse quasi suo malgrado a quel paese. Entrò nel territorio della Saona, suonò la prima volta a Bourg, poi a Maçon , a Moulins, a Never; riscosse ovunque degli applausi, ovunque destò l’ammirazione la più insperata, a Melun gli furono gettate delle corone, e poiché egli si trovava così vicino a Parigi, entrò in quella città, allettato da quella vita fragorosa e felice nella quale anelava di lanciarsi.

Vi passò quattro anni; — il piccolo savojardo, il povero suonatore di gironda, era divenuto un giovane elegante, un artista ricercato, l’elemento morale di quelle grandi riunioni: l’eletta società si contendeva Bouvard come il genio vivente dell’arte, come una di quelle grandi individualità della scienza, di cui si ambisce la predilezione e la stima.

Fu in quei grandi centri che egli aveva studiato gli uomini e, più di loro, sè stesso. Egli avea bene veduto dovunque delle mani sporte a stringere le sue, dovunque aveva ascoltato delle parole di omaggio, egli s’era accostato alle labbra il veleno melato dell’adulazione ; ma di quell’esistenza fittizia pareva sdegnarsi la sua anima, e quando volle un cuore, un cuore soltanto, conobbe che vi era un deserto intorno a lui, che l’amicizia rifuggiva da quella vita apparente e simulata, e che la sua deformità lo condannava all’isolamento dell’amore.