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amore nell'arte | 293 |
Riccardo si abbandonò con trasporto alla danza e si scagliò in quel turbine di valseggiatori, ove si confuse abbracciato alla fanciulla. Sotto quella sua taglia piena ad un tempo e flessibile, la mano del giovine indovinava le dolci ondulazioni delle sue forme: vi era in esse, nella loro mobilità, nel loro fremito, qualche cosa di più eloquente del desiderio; il cuore di Emilia batteva concitato e sommesso, spesso interrotto come il timido linguaggio delle passioni: i ricci de’ suoi capelli disciolti lambivano la fronte del giovane come un bacio protratto; le lunghe pieghe del suo abito ne avvolgevano, agitandosi, la persona quasi a confonderli in un essere solo e indivisibile.
In quell’abbisso di voluttà Riccardo dimenticò il suo passato e sè stesso.
Ma nell’ora che la festa volgeva quasi al suo termine, in un momento in cui i danzatori si riposavano sui soffici divani della sala, e le fanciulle si asciugavano coi loro fazzolettini di batista quelle gemme importune di sudore che piovevano dai loro volti arrossati; in quel periodo di solenni meditazioni in cui ripassano dinanzi a noi tutte le gioie, tutti i timori, tutte le ansietà della festa; e la stretta di mano e il bacio involato, e il fremito di tutta la persona, e la parola susurrata all’orecchio, e, Dio lo perdoni, quel contatto ardente e magnetico del ginocchio che uccide tante innocenze nei balli, e basta a svelare egli solo tutti gli arcani più imperscrutabili della vita, il signor Duplessy entrò nella sala tenendo per mano una bella fanciulla, e disse al signor Duport:
— Perchè non fate suonare vostro genero?... ecco qui una giovine artista che ha una voce portentosa da soprano, e che accompagnata da lui, ci farà sentire tutte le meraviglie del suo canto.