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amore nell'arte 291

che nulla avrebbegli più potuto contendere. In quella sua stessa inazione egli si era serbato un posto eminente tra le grandi individualità della scienza, e vi sarebbe rimasto anche perseverandovi, ma l’amore dell’arte e della vita domestica avevano ripreso il loro impero sopra di lui, e Riccardo contava oramai di abbandonarvisi per tutta la sua esistenza.

Non aveva egli più pensato ad Anna durante tutto quel tempo? La memoria della fanciulla era dunque svanita per sempre dal suo cuore? No, egli aveva riprovati ancora dei momenti paurosi, aveva risentite delle memorie strazianti; in quegli stessi abbandoni de’ suoi mille amori, nell’ebbrezza delle sue gioie, nel colmo della sua felicità, l’immagine di lei gli si era riaffacciata cupa, minacciosa, inesorabile: il giovane aveva risentita la presenza di lei con tutte quelle circostanze che gliel’avevano palesata la prima volta; aveva avuti dei sogni tremendi dai quali si era destato inorridito, compreso d’uno sgomento che rinasceva ogni notte più tormentoso e più atroce. E più volte, sotto l’oppressione di quell’incubo, Riccardo aveva pregato la fanciulla di perdonargli; l’aveva pregata come un ragazzo, piangendo; le si era prostrato, le si era umiliato come un codardo, tremando dinanzi all’orrenda apparizione di quell’immagine spaventevole. Perchè essa le appariva nel sogno sotto altre forme, e non per questo perdeva della sua somiglianza. Riccardo la vedeva dappertutto, nelle prime ombre della notte, in tutti gli oggetti che si presentavano al suo sguardo, in quei riflessi profondi e fantastici degli specchi che ricevono l’ultima luce del giorno, nelle persone da lui amate, in sè stesso; sì, e ciò era più terribile, in sé stesso. Egli se ne sentiva invaso come da uno spirito che assorbisse tutte le sue facoltà, che lo paralizzasse, che lo possedesse tutto senza lasciargli che l’impotente