Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
286 | amore nell'arte |
amata fortemente e nobilmente, e questo lungo tributo di lacrime e di memorie doveva bastare alle terribili esigenze di quell’amore sepolto. Riccardo lo credeva, lo voleva, egli sentiva che la vita ha i suoi diritti, la virtù i suoi doveri e l’umanità le sue leggi: tutto inesorabile, tutto prepotente e severo.
Noi lo diremo, Riccardo non amava più Anna: non solo egli avrebbe voluto dimenticare di averla amata, ma per una di quelle facili ingratitudini di cui tanto si compiace lo spirito umano, egli avrebbe desiderato di obbliare anche il suo debito, il debito della sua celebrità, del suo nome, della sua ricchezza medesima.
Nulla è più grave e penoso, nulla è più insoffribile alla maggior parte degli uomini che il peso della riconoscenza. Assai di rado, se il benefattore non assume i modi e l’apparenza del beneficato (ciò che pretendiamo assai spesso), noi possiamo perdonargli il suo beneficio. È un debito tremendo che ci toglie ogni quiete, che ci rende avidi e impazienti di soddisfarlo anche ad usura. Quelle minute soddisfazioni, quelle piccole vittorie che si riportano ogni giorno, ogni ora, in questa lotta indefessa tra anima ed anima, tra creatura e creatura, in queste battaglie assidue e spietate dell’egoismo, sono le uniche sensazioni che ci confortino, nella nostra umana piccolezza, dei mali grandi e reali della vita; — tutto ciò è dolce, ma nulla è più dolce e più consolante che lo sciogliersi dal vincolo della gratitudine.
Noi non l’abbiamo detto; ma abbiamo sentito più volte la nostra coscienza susurrarci all’orecchio: oh com’è dolce l’essere ingrati!
Dopo la morte di Anna, Riccardo aveva passato sei mesi interi senza suonare: il suo dolore era ancora troppo vivo, troppo recente; pareagli che ogni nota, richiamandogli qualche circostanza della sua vita felice,