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amore nell'arte 281

rinnovate, quell’avidità insistente dell’infinito, non sono che l’attrazione di un mondo avvenire. Noi viviamo nell’eternità, collocali tra queste due potenze ugualmente dilette, e ugualmente formidabili: sono queste attrazioni del passato e del futuro che dilatano i confini della nostra esistenza, anzi che la costituiscono, poiché noi non vivremmo senza di esse che la vita materiale dell’istante.

L’infinito è nell’uomo. Chi non sente? Noi viviamo in esso a sbalzi, a tratti, a periodi, a vite parziali; ma passiamo dall’una in un’altra come gli anelli di una catena riunita alle sue estremità, come i punti lineari di un circolo; noi giriamo sulla superficie senza mai uscirne. Ecco l’infanzia: voi non vi siete ancora tutto emancipato dalla vecchia vita: avete modi, pensieri, aspirazioni inadatte a quello stalo di cose nel quale siete rinato; vi sentite smarriti, confusi, impicciati; egli è che voi agite tuttora per le abitudini di un mondo antecedente: ma la vostra intelligenza, dopo aver lottato trent’anni per redimersi, vi pone finalmente in equilibrio tra queste due attrazioni, ed ecco a quell’età la pienezza della vita, sulla quale oscillate un istante prima di uscire dalla corrente, prima di subire l’attrazione di un mondo avvenire che vi precipita verso la vecchiaia e verso la morte; ma la morte non esiste; essa è la vita e la luce.

Avete mai osservato un infermo? egli è buono, egli è docile, la sua natura si è tutta mutata, per poco che il suo spirito sia stato coltivato, egli sarà anche poeta: egli è che più si rallentano i nodi che ci avvinghiano a questo mondo, e più noi ci sentiamo posseduti dall’altro: i vecchi, i sofferenti, gl’infermi ne subisono già la natura; essi si trovano collocati tra le due vite, lì, sul margine, sentono ancora dell’una e dall’altra, e non