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amore nell'arte 273

l’altro, e che nessuna avversità di fortuna li avrebbe potuti disgiungere. Nessuno di loro aveva ancora amato, ma il giovane non aveva più di puro che il cuore; Anna aveva ancora l’ignoranza della purità e l’ignoranza della colpa: aveva la purezza naturale dell’angelo.

Quella sera fu decisiva per tutta la vita di Waitzen; egli suonò con entusiasmo e s’inebbriò della voce divina della fanciulla.

Anna cantava con sentimento; la sua voce era debole e languida, uscivale dal petto come affannosa; era più un lamento che un canto, ma quel lamento aveva affascinato ogni cuore e spremuto delle lacrime dagli occhi di tutta quella folla spensierata e felice. Riccardo ballò colla fanciulla un valzer vertiginoso, le cui rimembranze, il cui suono non uscirono mai più dalla sua memoria, come quelle che avevano segnato per lui il primo periodo di una nuova esistenza. Quella ghirlanda di rose bianche avvizzite, quell’abito azzurro tempestato di stelle d’argento, quei capelli cadenti e scomposti, quella taglia slanciata e flessibile, tutto quell’olezzo di cielo che emanava dalla sua persona, riempirono per lunghi anni la mente immaginosa del giovine con si grande pienezza di affetti, di sensazioni e di fede, che tanta non gliene avrebbe procurato una lunga esistenza di felicità, di godimento e di amore.

Quando Riccardo, rientrato nella sua camera, rivolse lo sguardo a quegli oggetti che gli richiamavano alla memoria il suo passato, lo assalse un pentimento doloroso della sua esistenza trascorsa, di quei giorni senza amore, senza amicizia, senza coscienza di bene e di male, nei quali nulla si è raccolto, non una rimembranza, un affetto, una fede di cui riconfortarsi in quell’età nella quale non si può più vivere che di memorie. Il giovine si commosse e si armò di saldi e nobili propositi per