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amore nell'arte 271

chia valigia.» Riccardo meditava su queste e tante altre cose più tristi tra il frastuono d’una festa da ballo sdraiato sopra un sofà collocato nello sfondo di una finestra, di cui aveva racchiuse le cortine per nascondersi alla vista de’ suoi amici. Era la prima volta che il pensiero del suo avvenire veniva a collocarsi come un incubo assiduo, pesante affannoso, tra lui e l’abbandono prestabilito della sua vita: Riccardo soffriva e sentiva per la prima volta di soffrire.

Ma mentre egli si abbandona con una voluttà ancora ignorata a questo nuovo sentimento di dolore, ode proferire il suo nome, sente che si cerca di lui; e il giovine si scuote, si passa le mani sul viso, si racconcia la zazzera colle dita, si alza, e si slancia sorridente nella sala.

Una vaga fanciulla di sedici anni, la cui voce era melodiosa come quel bisbiglio degli usignuoli, delle farfalle e dei fiori che si ascolta nelle prime notti di aprile, era stata pregata di cantare una vecchia leggenda tedesca ordita sopra i motivi d’una patetica sinfonia di Hummel, e Riccardo doveva accompagnarla al pianoforte. Anna Roof, che tale era il suo nome, era uscita di collegio pochi giorni prima, e si dicevano grandi cose della sua abilità nel canto e nel suono, ma sopratutto nel canto: ella era divenuta a un tratto la regina della festa, e aveva ricevuto un tributo di ammirazione e di elogi che poche donne avevano fino allora ottenuto. La sua bellezza aveva certo giovato a questo trionfo, ma nessuno avrebbe saputo dire perchè Anna era bella: le sue fattezze sfuggivano allo sguardo, come qualche cosa di mobile e di vaporoso; i suoi occhi avevano tutta la trasparenza del cielo, e quella profondità e quel mistero del suo azzurro; il sentimento e la malinconia nel baciare il volto di una donna, non vi avevano mai la-