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260 | amore nell'arte |
gioventù che non aveva potuto versare in nessun cuore, si raccolse e si riversò tutto in sè medesimo. Come spiegarlo? Egli incominciò a non trovare più altra compiacenza che con sè stesso, altro oggetto degno di amore che sè stesso, altra rivelazione del bello che la sua persona. In una parola, la sua ragione ne andò interamente sconvolta — egli finì coll’essere preso d’amore per sè medesimo. Io rifuggo dal descrivere i dettagli deplorevoli di questa follìa: ciascuno li potrà agevolmente immaginare.
Il mio amico non lasciò scritte che poche opere, le quali, per quanto io credo, andarono smarrite. Io conservo tuttora un suo manoscritto contenente alcune idee speciosissime sul ritmo, e uno schizzo di progetto relativo all’abolizione del melodramma. La sua musica — contrariamente a ciò che si poteva supporre — era dolce, semplice, appassionata, estremamente melodica. Coloro che l’hanno udita hanno serbato memoria per lungo tempo di quel fascino inesplicabile che esercitavano le sue melodie. Mi è pur rimasta una sua memoria circa quel barbaro sistema di finali fragorosi e convenzionali, da cui nessuno ha finora saputo sciogliersi, e che io ho in animo di pubblicare. Sarà l’ultimo omaggio che io renderò alla memoria di un amico affettuoso e di un genio sventuratissimo.
Lorenzo Alviati morì nel manicomio di Alessandria l’11 giugno 1863.