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amore nell'arte 259


«Se tu verrai qui ti racconterò a voce la storia di questo suo secondo amore. I dettagli sono molti e strazianti, nè mi regge l’animo di evocarli e di scriverli.»

Tale era il brano di quella lettera che si riferiva a Lorenzo.

Io accorcio, per quanto mi è possibile, la mia narrazione.

L’analisi di questa dolorosa infermità della sua mente — noi chiamiamo infermità di mente tutto ciò che si allontana dalle sue leggi comuni — potrebbe fornire argomento a molti volumi, e pochi saprebbero entrare nello spirito vero di questo esame — gli artisti forse, e non tutti. Questa specie di anatomia di un’anima non potrebbe offrire interesse che per coloro i quali furono dotati di una mente superiore, per quei pochi che hanno molto amato o molto sofferto, per quegli eletti, cui l’idea del bello si è mostrata per altre vie e per altre immagini che non soglia mostrarsi alle masse.

Lorenzo Alviati ebbe natura e passioni e genio eccezionali. Le sue opere, non note che a pochi amici, furono forse di quelle grandi aberrazioni, di quei grandi errori, di quegli slanci giganteschi, di quelle prodigiose antiveggenze che precedettero in ogni tempo le scoperte dei più grandi veri scentifici e filosofici. Fu un uomo fuori de’ suoi tempi — oserei quasi dire che fu un’anima fuori della sua natura, tanto egli seppe combatterla, ancorchè ne uscisse vinto, e dominarla così miseramente.

È noto come quella Venere destasse passioni d’amore violentissime. Lorenzo tradì, suo malgrado, il suo segreto, — il segreto di questo priapismo singolare del genio — e gli fu impedito dì rivederla. Rimpatriato, si ammalò di malinconia, e la sua ragione incominciò ad alterarsi nell’isolamento che egli creava intorno a sè stesso. Tutta quell’affettività, e assieme tutto quel fuoco represso di