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252 | amore nell'arte |
co’ suoi abbandoni, co’ suoi rimpianti, senza averne nè la dimenticanza, nè la quiete.
«Ma a che farti conoscere tutti i dettagli dolorosi del mio racconto? Adalgisa morì; e con quella morte cessò in me quell’indifferenza, quell’avversione all’amore, quel bisogno di raccogliermi in me stesso che mi aveva chiuso fino allora tutte le sorgenti della felicità e del piacere. Quell’affetto che mi s’era formato nel cuore durante la sua malattia si tramutò, dopo che l’ebbi perduta, in una passione che mi divorava la vita, senza che potessi spegnerla, che mi dominava senza che potessi combatterla. L’aveva dimenticata viva, l’aveva amata morente, l’adorava già morta. In ciò io era conseguente a me stesso, a’ miei principii, alle mie idee: il mio amore era logico come lo era stata la mia indifferenza — procedeva dalle stesse cause, si riposava sulle medesime convinzioni. Un ostacolo mi aveva allontanato fino allora dalla donna — la sensualità della bellezza: ora questo ostacolo era sparito, la bellezza di Adalgisa non era più che un riflesso della bellezza intatta ed eterna — in quelle forme pure e perfette io vedeva personificato quell’ideale che l’arte, che il vero, che il bello avevano come delineato nella mia fantasia. Gli uomini tendono a personificare tutte le loro sensazioni, tutte le concezioni della loro mente — la vasta idealità umana si riduce tutta alla creazione di alcuni tipi vaghi e indecisi, di cui cerchiamo indarno quaggiù una personificazione vivente. Dio non si è rivelato a noi: egli non ha tanto creato gli uomini, quanto gli uomini hanno creato lui stesso — l’idea di Dio non è che una personificazione dell’idea del bello eterno e del buono eterno — le anime elevate non hanno osato circoscrivere questa bontà e questa bellezza in una forma, le anime volgari sono discese fino all’umanazione.
«Se tu avessi visto Adalgisa, avresti potuto compren-