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amore nell'arte 249

mobile, di sì trasparente, che la sua natura appariva trasfigurata, spiritualizzata, mutata essenzialmente da quella di prima. La sua vitalità era affluita tutta allo sguardo; pareva intravedesse sempre qualche cosa al di là degli oggetti che la circondavano — guardava, come si guarda spesso, senza vedere. Le sue mani si erano come affilate, erano divenute sì piccole, sì leggiere, sì bianche, che nello stringerle vi sentivate la mancanza della vita, e ricordavate quelle mani che vi accarezzavano fanciullo, vi avvedevate che esse non dovevano più toccare alcuna cosa della terra... Oh le mani di un morente! Chi non ha strette una volta quelle mani? Chi non ha compreso il terribile linguaggio di quel contatto? Sì, le mani hanno un linguaggio speciale, un’espressione a sè, un’eloquenza misteriosa che ogni uomo non può non intendere. Son esse che accarezzano le teste dei biondi fanciulli, che asciugano le lacrime degli infelici, che rivelano i primi tumulti della passione, che esprimono la pietà, la tenerezza, che infondono i conforti, che vi toccano, che vi stringono, che vi abbracciano l’ultima volta prima di morire. Le mani sono il linguaggio del corpo, come il sentimento è il linguaggio dell’anima.

«Non è senza ragione che le superstizioni umane hanno attribuito un pregio sì grande alla verginità della donna. Non saprei come provare questa asserzione, come giustificare questa fede che mi ha inspirata la vista di Adalgisa; ma egli è ben certo che se vi sono nella nostra natura due elementi che lottano per dominarsi — l’elemento fisico e l’elemento spirituale — e se la nostra perfezione, la nostra supremazia, la nostra grandezza sono riposte nella prevalenza di quest’ultimo, ella è una grande rinuncia quella che vien fatta per esso alla soddisfazione dei sensi più viva e più irresistibile. Si può deplorare questa rinuncia, non si può non am-