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248 | amore nell'arte |
affievoliva la sua vitalità, prostrava le sue forze e le sue passioni, la sua animi acquistava una nuova potenza — di mano in mano che si restringevano i limiti della sua vita fisica, si dilatavano, si estendevano quelli della sua vita morale. Io l’amava forse perchè vedeva in lei sparire la donna e formarsi l’angelo, pur rimanendo angelo e donna ad un tempo — perchè la vedeva librata tra il cielo ed il mondo, come avesse voluto additarmi il cielo senza togliermi alle gioie più miti della terra.
«Non ti parlerò dei giorni che trascorsi presso di lei, al suo capezzale — giorni pieni di tristezza e di grandi gioie ad un tempo, di esitanze, di sogni, di illusioni, di subiti sconforti — cari e mesti giorni che io non potrò ricordare mai senza piangere.
«Adalgisa non prevedeva, non credeva vicino il suo fine: mi parlava dell’avvenire, di noi, del suo amore; formava progetti di felicità per un tempo lontano — la sua anima, simile alla fiamma che si ravviva un istante prima di spegnersi, gettava, già vicina a dividersi da lei, una più gran luce sulle gioie immaginarie del suo avvenire. Soventi ella intravedeva il vero, ricadeva nei suoi sconforti, presentiva l’abbandono della vita. Allora rivolava al passato, evocava, numerava, interrogava le gioie in quell’età, più spesso accarezzate che godute, più spesso sognate che ottenute; mi parlava dell’infanzia, di quelli anni che avevamo trascorsi assieme, quando la nostra affettività era ancora una virtù che spandevamo su tutti, che dividevamo con tutti; quando gli affetti, così dispersi, non si erano ancora riuniti nel cuore per rivolgerli ad una sola creatura. L’amore, diceva ella, era stato allora una grande espansione, ora non era che un grande egoismo.
«La malattia aveva come modificate le sue sembianze, aveva dato al suo volto qualche cosa di sì pallido, di sì