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240 | amore nell'arte |
cuore, finivano colle basse soddisfazioni di un amore brutale, assai spesso colla sazietà, colla nausea, col disgusto che dà una passione soddisfatta. L’amore non è che un’ipocrisia — nella maggior parte degli uomini non è che l’abuso, l’applicazione falsa ed inesatta di un nome. Potrebbe chiamarsi il piacere, la voluttà, la sensazione — sarebbero le parole — ma l’amore, questa espressione di cui ci serviamo per indicare quanto abbiamo di sacro e di diletto nel mondo, per rivolgerci alla divinità, per accennare a quei legami pieni di mistero e di incanto che sembrano congiungerci all’universo; essa, la parola più dolce e più nobile del linguaggio umano, quella che inchiude l’idea del sacrificio scambievole, che è la nostra religione, la rivelazione più eloquente della nostra immortalità, non può essere adoperata per nascondere la natura ed i fini di un desiderio sì basso, per velarne la nudità, per travisarne lo scopo — l’amore è cosa dell’anima, la voluttà è cosa della materia: distinguiamo tra due nature sì differenti.
Nella stessa facilità di quelle donne che si danno senza ritegno — e quel ritegno ha sempre le sue cause nell’amor proprio, è sempre un’arte quando non è calcolo o freddezza, — che non lo dissimulano, che dicono: vi domando del piacere e vi do del piacere, mi parve di scorgere, non dirò una maggiore virtù, ma una maggiore arditezza della verità, una franchezza saggia e lodevole. Che differenza tra esse e le altre? Le une promettono di darsi, nulla più, e si danno — le altre promettono cose infinite, l’amore puro e ideale, tutte le smorfie che affetta il sentimento, e finiscono col darsi come le prime, nulla di meno: in quelle una sincerità che ne scema, se non ne scusa, i traviamenti, in queste un inganno, un artifizio volgare, od una ignoranza di sè deplorevole. Tra un uomo ed una donna che si piacciono, la virtù