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amore nell'arte 239

per essere condannata al tuo abbandono? Non sono abbastanza bella? non sono abbastanza giovine e ricca? Sei geloso? preferisci l’isolamento? Vuoi che rinunci a tutto, a’ miei abiti, a’ miei cavalli, alle mie abitudini? Vuoi che abbandoniamo questa città e ci ripariamo in un angolo di terra ignorato? che viviamo soli, sconosciuti, felici? Dimmi, lo vuoi?

Io era vinto, io era commosso, io avrei fatto il sacrificio della mia vita per lei, ma non poteva amarla, non lo poteva: sentiva che nessuna donna avrebbe potuto inspirarmi ancora dell’amore; l’amore, l’ammirazione, il culto, l’affetto di quell’ideale che portava meco nel cuore lo trovava nell’arte — la donna ne era la negazione.

Oscillammo alcun tempo tra la repulsione e l’amore, prevalse la repulsione — ci separammo.

Io abbandonai quella città sei mesi dopo, nello stesso giorno in cui ella partiva per Francia col ricco barone di Saint-Froix, colonnello di cavalleria, col quale si era sposata al mattino.

Così disgustato dell’amore altrui, rientrai nell’amore di me medesimo, non perchè il mio cuore fosse incapace di collocare in una creatura simile a me un affetto saldo e durevole, ma perchè aveva compreso che nessuna di esse avrebbe potuto divider meco questo sentimento senza offenderne la purezza; perchè sapeva che quell’amore che io voleva, il mondo non me lo avrebbe mai dato, non me lo avrebbe mai potuto dare. Nell’amore dell’uomo, e più specialmente della donna, ho sempre veduto una specie d’ipocrisia, delle norme di convenzione che volevano mostrare di condurre al sentimento, e non conducevano che alla sensazione, non avevano altro scopo che la voluttà, e incominciate con tutte le apparenze di un amore ideale, di un puro affetto di