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238 | amore nell'arte |
— ci separammo commossi. — Quando fui solo nella mia camera mi raccolsi e piansi lungamente, piansi per la cessazione di un’illusione che avrebbe dovuto accompagnarmi per tutta la vita. Era quello l’amore? Era così che lo concepiscono gli uomini, che deve essere concepito da tutti gli uomini? E perchè formarsene un ideale così elevato? Che cosa è l’ideale? Che cosa è il sentimento in amore? Può egli l’amore stare dà sè, rinunciare alla sensazione che ne costituisce l’essenza, che unicamente lo crea? Poichè non è il sentimento astratto che ci unisca indissolubilmente alla donna, ma il possedimento che ci crea dei doveri e dei bisogni; è l’intimità, è l’abitudine che rendono potente l’amore.
Tuttavia non abbandonai Regina: la natura agiva troppo potentemente su me perch’io potessi superarla colla forza della mia volontà. La volontà è sempre più debole dell’istinto, perchè, ove noi fosse, ciascun uomo potrebbe violare impunemente la propria natura. Incominciai anzi ad amarla, conosceva che il suo cuore era retto e sincero, non ne poteva dubitare: investigai il suo passato, e non vi trovai cosa alcuna di cui dovessi soffrire ed affliggermi: un uomo qualunque, un uomo che non fosse stato vero artista, avrebbe potuto essere felice con Regina. Io non lo era.
Ottenni tutto da lei. Da quel giorno ella cominciò ad amarmi, da quel giorno io sentii che il mio affetto era svanito. Lo dissimulai lungo tempo, era pietà, era gratitudine che me lo imponevano, ma essa non tardò ad avvedersi del mio abbandono, e ne fu mortalmente ferita.
— Che vuoi? mi disse ella una volta, che pretendi da me per amarmi? che posso io fare per meritarmi il tuo amore? Hai guardato nel mio passato e non vi hai veduto nulla, hai indagata la mia condotta e sono uscita illibata dalle tue investigazioni. Quale demerito ho io