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amore nell'arte 233

lirio della mia gioventù, il sogno di tante notti, lo scopo della mia arte. Predispormi coll’arte all’amore, prepararmi l’animo ad accogliere questo sentimento e a sentirlo, ingigantirmene l’ideale, rivestirlo di tutte le illusioni, di tutte le parvenze possibili, ecco ciò che io aveva vagheggiato nel silenzio di questo ritiro prima di avventurarmi nel mondo.

Ma gli uomini tutti e la gioventù sovratutto, credono che lo scopo dell’amore sia la donna, non distinguono tra il sentimento e la sensazione, fanno di queste due cose disparatissime una cosa sola, e chiedono più tardi a sè stessi: «Che cosa era l’amore?» Avrebbero dovuto chiedere: «Che cosa era la donna?»

Io pure ho ingannato me medesimo: ho creduto che tale fosse lo scopo di questo sentimento e mi affrettai a raggiungerlo. Mi era creato di esso un ideale abbagliante, lo aveva vagheggiato per tanti anni, non aveva mai dubitato di realizzarlo; e quando aveva abbandonato, per sempre la casa di mio padre, aveva detto a me stesso: — Avrò anch’io un amore.

Ohimè, io non sapeva che un artista non può amare che l’amore, che due affetti sono troppo per esso, che quell’ideale che egli si è creato, non è che l’ideale dell’arte, che nessuna creatura al mondo può renderglielo in tutta la sua sublimità, può possederne tutte le forme e i colori.

Ma che cosa è l’arte? È dessa che ci conduce all’amore, o è l’amore che ci conduce all’arte? quale dei due è l’essenza e quale è la forma? quale è quello che rivela e quale è quello che è rivelato?

Non ho potuto comprenderlo ancora; egli è però ben certo che ogni grande anima si è manifestata coll’arte, e che nessuna di esse ha potuto sottrarsi al dominio dell’amore.