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amore nell'arte | 229 |
forma sensibile, e l’altra vi si rileva vestendola della sua espressione celeste.
Ritornammo alla fattoria, che le prime ombre della notte si disegnavano su quelle vaste lande di arena lasciate asciutte dall’acqua; il cielo si andava qua e là popolando di stelle; alcuni fuochi fatui brillavano in quei seni dove l’acqua stagnante aveva raccolte e corrotte le alghe; gli uccelli annidati sulle quercie mormoravano strane voci dai loro nidi, i cani si rispondevano dalle valli, e gli ultimi rintocchi dell’avemaria, così prolungati dagli echi e dai venti, sembravano gemere su quel non so che di funerario e di triste di cui si veste la natura nel piangere la sua morte di un giorno.
Lorenzo ed io ci tenevamo per mano camminando; spesso le nostre dita si allentavano o si stringevano convulse; le nostre sensazioni erano divenute comuni, le nostre vite si effondevano l’una nell’altra, e noi lo sentivamo tacendo...
Oh come è nobile la gioventù, come è potente nelle sue concessioni, come è generosa e severa! E perchè la natura ci ripudia a trent’anni? Perchè quegli alberi, quelle montagne, quegli astri non hanno più una voce per noi? Ogni uomo è artista, è poeta nei primi anni della vita; è un arido egoista negli ultimi; e quei pochi esseri che un’eccessiva sensibilità ha condannati a rimanere eternamente fanciulli, errano smarriti nel mondo, sbattuti come un fragile schifo su questo oceano tempestoso della vita. È la società? è la natura? Domandiamolo a noi stessi, noi che non abbiamo più che il conforto disperato del dubbio, ma spargiamo di fiori il sentiero della gioventù, inebbriamola di amore e di illusioni; non riveliamo ad essa questa terribile verità, che ogni uomo che è giunto a trent’anni è già sopravvissuto a sè stesso.