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LORENZO ALVIATI
G. Michelet.
Lo conobbi nel collegio di Valenza. Io aveva allora quattordici anni, egli ne aveva diciassette compiuti, ma il suo corpo erasi già sviluppato come a venti; in quella scolaresca di fanciulli egli rappresentava, colla sua statura elevata, colla sua testa di Apollo, un personaggio assai più imponente del maestro. Quell’immagine mi richiama le memorie più dolci e più pure della mia fanciullezza, mi evoca scene obliate da lunghi anni, rimembranze confuse, sulle quali il mio pensiero non sa tanto arrestarsi e scrutare da ritesserne intatta la tela. Difficilmente la nostra memoria ha la virtù di evocare un passato di quindici anni; ma spesso in quelle tenebre che lo circondano rimane un filo di luce che ci guida a rintracciare le gioie; spesso basta il profumo d’un fiore, un filo d’acqua, un suono, un nome, una fronda, per richiamarci le immagini di alcuni affetti, le circo-