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fra le dita come avrebbe fatto con un bambino, mi lisciò la fronte, mi prodigò cento carezze, mi chiamò con cento nomi teneri. Io taceva e tremava.

— Credi nella virtù della donna? mi domandò improvvisamente.

Perchè quella domanda? E quale sarebbe stato l’effetto della mia risposta? Voleva ella darmene una prova? O piuttosto prevenire il mio disprezzo? Assicurare l’impunità della sua colpa?

— Ci credo, le risposi con un esaltamento che nascondeva assai male la mia convinzione.

— Non ti pare che vi possano essere delle circostanze che scusino e legittimino il fallo?

Non risposi. La sua intenzione era palese. Ripugnava alla mia dignità d’uomo contrastarle e schermirmi con un sotterfugio da una promessa che il dispetto e l’affanno avevano strappato al mio cuore. Ripugnava alla mia debole natura incoraggiarla con bugiarde lusinghe.

Ella mi comprese e tacque.

— Parlami di Clara — mi disse poco dopo.

E siccome io non rispondevo, aggiunse con accento carezzevole:

— Non temere, mio bello, non temere; non ne sono gelosa. Tu non sei più Giorgio per me, sei l’amore, sei il mio sole. Il sole illumina e riscalda; le creature ne fruiscono senza lamentarsi, ne fruiscono benedicendo; tu sei il mio amore, tu sei il mio sole… Tu l’ami, non è vero?

— L’ho amata.

— Non l’ami più? Sarebbe vero? Oh! grazie, grazie. Non è vero, sai; io ho mentito, non è vero che io non sia gelosa; oggi sono forte, ecco tutto. Vorrei essere l’aria che tu respiri per confondere la mia vita colla tua, distruggere la mia natura per far parte della tua natura. Dimmi ancora che non ami più quella donna.