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fosca 19

nuto, direi quasi, inconsciamente. Sapeva che fra due mesi sarei stato richiamato al reggimento e che di là avrei meglio potuto sollecitare questo richiamo. Forse era stato tale il movente del mio viaggio.

Appena arrivatovi, cercai con ansietà di un amico che certa comunanza di sventure mi aveva reso da tempo assai caro. Egli abitava in una casa signorile e assai vasta, dove era però quasi sconosciuto. Bisognava chiedere di lui. Battei perciò ad un uscio del primo piano, e venne ad aprirmi una donna giovane e bella. Mi parve che rimanesse colpita in modo singolare dal mio aspetto; nè io lo fui forse meno del contrasto che formavo col suo. Essa era sì serena, sì giovane, sì fiorita; e il mondo pareva dover essere stato fino allora così benigno con lei, che io la guardai un istante senza parlare, compreso d’una meraviglia dolce e profonda.

— Di chi cercate, in grazia?

— Profferii il nome del mio amico.

— Al secondo piano.

Avrei giurato di aver sentito già più volte quella voce, di averla sentita bambino, ne’ miei sogni... La guardai come si fa a persona che parci di conoscere. Nell’allontanarmi sentii che un lembo del mio soprabito era stato chiuso tra le due imposte dell’uscio. Ella se ne avvide e fu sollecita a riaprire.

— Perdonate.

M’inchinai. Non risposi nulla, ma tornai ad affissarla sì stranamente, che essa mi guardò quasi spaventata. Sentii quello sguardo penetrarmi penosamente nell’anima.

«Sì felice, sì florida, sì bella!» esclamai tra me stesso salendo la scala; «oh dolce creatura! se tu mi porgessi quella tazza che l’età e gli affanni hanno allontanato forse per sempre dalle mie labbra, come potrei rifiorire an-