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Tacque, si curvò sopra di me e coprendosi il volto colle mani continuò a singhiozzare in silenzio. La sollevai da terra, allontanai le sue mani, e la baciai sulla bocca. Trasalì, levò gli occhi verso di me, volle parlare, ma gliene venne meno la forza, e si abbandonò nelle mie braccia mormorando il mio nome.

— Fosca! Fosca!

Non mi rispose. Trasognato, istupidito, senza mente e senz'anima, io sentiva il suo petto asciutto premere sul mio, la sua faccia appoggiata alla mia faccia, così presso da udire le pulsazioni affrettate delle sue tempia.

— Fosca! Fosca! sii forte, sii calma; io sono tuo, sono tuo, di nissun'altri che tuo.

— Di nissun'altri? Ripetilo. Non è un sogno? Oh! sì, sarò forte, sarò calma; il tempo è geloso della mia felicità, vedi le freccie di quel pendolo come corrono veloci! Oh! mio Giorgio, mio Giorgio! tu sei mio!

V'era un accento di così selvaggia voluttà nelle sue parole, che il mio cuore si contorse nel seno come un serpente. Quella ripugnanza invincibile che la natura aveva posto fra di noi risorse impetuosa come una corrente per separarci.

Un moto, un gesto, una mal frenata contrazione dei miei muscoli le rivelarono forse la mia intenzione, poiché in quel punto sentii i nervi delle sue esili braccia stirarsi come corde e stringermi in un amplesso soffocante. Gridai... si ritrasse, mi abbandonò impaurita, s'inginocchiò domandandomi perdono.

Abbassai lo sguardo verso di lei; quel volto sfigurato dalle lacrime e dal sentimento eccessivo del piacere, i suoi grandi occhi sporgenti dall'orbita, il tremito del suo corpo, mi rivelarono brutalmente tutto l'orrore della mia posizione. Non era la mia anima, non era la mia volontà; era il sangue, erano le fibre, i muscoli, i nervi