Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
fosca | 191 |
conoscere l’amarezza di quelle lacrime disperate che io verso nello scriverti. Mio buon amico, mio Giorgio, mio angelo, noi non dobbiamo vederci più, noi dobbiamo lasciarci per sempre. La mia mano vacilla, e il mio cuore s’infrange nello scrivere queste parole.
«Ascolta. Sarò breve, ti dirò tutto più concisamente che posso, giacchè ogni parola che devo dirti mi trapassa l’anima come una lama. Rovesci di fortuna gravi e improvvisi hanno rovinato la mia famiglia. Mio marito è quasi povero. È necessario che tutto sia mutato nel nostro sistema di vita; che io attenda colla mia vigilanza, colla mia assiduità, forse anche col mio lavoro, a quelle economie che mi impone il mio dovere di moglie e di madre. Mio marito ebbe forse dei torti verso di me; io ne l’ho ben punito. Ad ogni modo, ora che egli è infelice, sento il bisogno di riavvicinarmi a lui e di proteggerlo col mio affetto. La fortuna ha riunito le nostre esistenze, non posso abbandonarlo. Tu stesso, tu mi disprezzeresti. Sono ora otto mesi che ci amiamo. La mia colpa fu lunga, la mia dimenticanza profonda, la mia felicità immensa.
«Tutta una vita non basterebbe a scontare questa felicità (poichè la felicità è cosa che si sconta). Come potrei pretendere di essere ancora felice? Come oserei di essere ancora colpevole? Lasciandoci ora, noi ci lasciamo in tutta la pienezza delle nostre illusioni e della nostra fede; noi porteremo intatte alla tomba queste illusioni che una intimità più durevole avrebbe scolorite o distrutte. La tua memoria riempirà tutta la mia esistenza.
«Non è il caso che ci ha separati, è una predestinazione, è una volontà superiore e imperscrutabile. La sventura che mi colpisce ha punito me di una colpa che non potrò mai lavare abbastanza colle mie lacrime; ha