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fosca 187

— A Milano!...io balbettai tutto confuso — traslocato!... Veramente... non capisco...

E alzai gli occhi verso Fosca. Vidi il suo volto impallidire, trasfigurarsi, affilarsi. Ella stese le braccia verso di me, tentò sollevarsi, e ricadde sulla sedia. Suo cugino, i medici, le furono tosto dintorno; guardavano ora me, ora lei, e parevano sospettare le cause di quella sua crisi improvvisa. Successe un istante di silenzio. Gli occhi di Fosca, spalancati, immobili, vitrei, non cessavano di affissarmi. Ella si alzò ad un tratto agitata da una contrazione spaventevole, corse verso di me, si afferrò a’ miei abiti e proruppe in un grido straziante:

— O Giorgio, non mi abbandonare, o mio Giorgio! mio adorato!

Quelle parole, quell’atto erano una confessione troppo eloquente. Suo cugino impallidì, arrossì, tornò ad impallidire; stette un istante immobile come istupidito, paralizzato, fulminato da quella rivelazione, poi si avventò verso Fosca guardandomi con occhi terribili, la strappò con violenza dalle mie braccia, la trascinò verso il suo appartamento; e nel varcare la soglia dell’uscio si rivolse, e mi disse:

— Uscite, signore; uscite di questa casa. Ci rivedremo assai presto.

Gettai gli occhi smarriti d’intorno a me; il sergente di posta, le cameriere erano spariti; i miei commensali si erano alzati, e facevano mostra di frugare qua e là tra i mobili per cercare i loro berretti e le loro sciabole. Io uscii, mi cacciai giù per le scale colla disperazione nel cuore.