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lato e dall’altro della riva, e scorreva nel mezzo con lentezza; non si vedeva né un insetto, né un filo d’erba.

Clara scorse la prima la nostra capanna, — il nostro tabernacolo, — e fu sollecita a raggiungerla, ma l’uscio ne era chiuso, e non ci fu possibile entrarvi.

«Ella fu sì afflitta di questa contrarietà, che per poco non ne pianse. Riattraversò il ponte di tavole su cui la neve gelata rendeva facile lo sdrucciolare, e abbracciò un albero sotto il quale eravamo soliti ripararci dal sole. Si sedette sulla neve in un punto in cui solevamo sederci e passare lunghe ore sull’erba. Trovammo in una siepe alcune di quella bacche vermiglie che producono le rose selvatiche e che hanno un sapore acre, benché quasi dolce, e un nido ripieno di foglie secche e di neve. Quante memorie in quei luoghi, quante memorie!

Clara esclamava tra sè stessa: — Pensare che tutto sarà rifiorito a primavera, che questi luoghi ritorneranno così belli come lo erano nei primi giorni del nostro amore!».

« — Ebbene, le dissi io, questo pensiero non ti conforta?

« — Ma saremo noi ancora così giovani, ancora così felici?

« Non seppi risponderle. Perché ha ella concepito questo dubbio?

« Nel ritornare raccolse presso la siepe di un giardino un fiore di semprevivo, di quelli di cui si intessono le corone mortuarie.

« — Gettalo via, io le dissi, è un fiore da morto.

« — Perché? rispose ella con tristezza, se è l’unico fiore che non avvizzisce? l’unico che non muore mai? Il fiore delle memorie è caduco, ma questo sopravvive alla memoria. Quello è per gli affetti vivi, questo per gli affetti sepolti.