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mio volto con quello di altri uomini, mi chiesi con spavento se io era ancora lo stesso di un tempo, se era diventato dissimile da loro, se sarei sopravvissuto a quel giorno.

Aveva imparato a disperare troppo precocemente.

Allora non prevedeva l’aurora luminosa che doveva sorgere ancora sulla mia gioventù, e che doveva tramontare sì presto!


III.

Ho parlato del mio paese natale.

Mi duole che queste pagine non sieno destinate a venire alla luce, per poter rendere pubblico un odio che conservo da lunghi anni nel cuore, l’unico che il tempo e la riflessione non abbiano fatto che avvalorare ed accrescere.

Io amo la terra, questa grande madre, questa gran patria comune; io l’amo tutta senza distinzione di suoli e di climi; l’amo come una parte di me, io che non sono che una porzione minima di lei stessa.

Io ho sentito spesso le sue attrazioni, l’appello che ella fa a’ suoi atomi, le sue creature; agli uomini, le sue particelle animate. A primavera, quando il sole la dardeggia de’ suoi raggi; in quel periodo di febbre, di ardenze, di fecondità, quando dal suo seno pieno di amore erompono le famiglie degli insetti e delle erbe, quando ella sorride di un sorriso pieno d’incanti e di fiori, io ho sentito spesso con una specie di furore il desiderio di rientrare nel suo seno; io mi sono prosteso per abbracciarla; ho sentito che essa mi chiamava, e ho gridato: «Tu mi vuoi, tu mi chiami, — io vengo, io