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— A Milano! fra due giorni.

— Sì, me ne incarico io. L’aria di quel paese vi farà bene. Farò revocare la vostra licenza, e vi farò invece avere una traslocazione che renderà la vostra partenza inevitabile. Ella lo comprenderà, non potrà opporsi. Le dirò che fui io a provocarla vostro malgrado.

— Ma pensate...

— A che cosa? interruppe egli con impazienza. Io penso al vostro bene, giacchè voi non avete un’oncia di giudizio, e lasciate volentieri che vi pensino i vostri amici. Dopo tutte le follìe che ha fatte per voi, dopo quella colossale di ieri, la salute di quella donna è peggiorata a tal segno, che ella non ha più due mesi di vita; e due altri mesi di soggiorno vicino a lei basterebbero a dare a questa lenta infiammazione che vi divora uno sviluppo che renderebbe impossibile arrestarla. Fate quell’apprezzamento che volete di questa mia mediazione, che vi costringo a subire; io ho coscienza di compiere un dovere. Me ne ringrazierete più tardi.

E uscì prima che nella mia titubanza avessi trovato parole per eccitarlo e per distoglierlo da questo disegno.


XLII.

Io vorrei tacere qui di quegli ultimi giorni che passai con Clara a Milano; non vorrei evocare dalle oscure profondità delle mie memorie che i soli dolori — giacchè l’evocarne le gioie è compito assai più triste e difficile — il mio cuore non conosce più la via delle gioie, esso ne ha dimenticato il linguaggio! — ma come non ricordare quegli ultimi baleni di felicità che hanno rallegrato la nostra esistenza? I primi piaceri non sono meno