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la felicità che ti attende è lunga; sacrificati ancora un momento per me; quando sarò morta, considererai questa sventura come un istante di amarezza nelle lunghe ore di gioia che avrai goduto, mi ricorderai forse con delle lacrime. Non mi parlare di doveri, di ragione, io non ho più ragione, non ho più coscienza di doveri; non esigere da me ciò che non è più possibile ottenere; io ti amo, ecco tutto ciò che so dirti. Abbi carità. Ritornerai? Dimmi che ritornerai.

Si trascinò verso di me, e nascose il capo tra le mie ginocchia.

— Sì, io le dissi, sì, torneremo assieme, ma domani dovrò pur ripartire, non posso fare a meno di recarmi per due giorni a Milano.

— Ah! esclamò ella. Ebbene, ebbene non importa. Non vorrò essere felice io sola. Avrò la forza di resistere. Ma non ti fermerai di più, ritornerai? Promettimelo.

— Sì, io dissi, te lo prometto.

— Giuralo.

— Lo giuro. Ma potrò poi rivederti in casa tua? Tuo cugino...

— Spero che non avrà veduto la mia lettera, che saprà nulla. Io l’ho lasciata sul mio tavolino da lavoro. Dacchè non tengo più il letto, egli non viene più nella mia camera. Sai che non esce dall’ufficio che pel pranzo. Prima di quell’ora saremo già arrivati. La mia cameriera ne sa qualche cosa, è prevenuta, non dirà nulla. Checchè avvenisse, vedrò oggi il medico, e lo pregherò di venirtene ad informare.

Ometto il resto di quel triste dialogo. Feci cercare una carrozza e ricondussi Fosca alla stazione. Il freddo, la fatica, il dolore avevano talmente esaurito le sue forze, che dovetti quasi sollevarla sulle mie braccia per salire con essa le due predelline della vettura del convoglio.